Orario di Lavoro – Quali Sono le Regole

Le disposizioni di legge che disciplinano l’orario di lavoro costituiscono un corpo normativo tra i più vecchi del nostro ordinamento. Da sempre, infatti, si è cercato di garantire al lavoratore il recupero delle energie psicofisiche, ponendo all’attività lavorativa limiti precisi di durata e stabilendo adeguati periodi di riposo nell’arco della giornata e della settimana.
La normativa riguardante l’orario di lavoro, contenuta nel Dlgs 66/2003, regola in maniera uniforme il rapporto di lavoro sotto il profilo dell’organizzazione temporale dell’attività, mentre un ruolo centrale nella regolamentazione è affidato ai contratti collettivi.

In particolare, in azienda deve conoscere:

Quali sono i limiti di legge per quanto riguarda durata massima dell’orario settimanale, pause, riposo giornaliero, lavoro notturno e straordinario
Le opportunità di cui dispone l’azienda per strutturare l’orario di lavoro che più risponde alle proprie esigenze
I diritti dei lavoratori e la tutela della loro salute.
L’orario è alla base del contratto di lavoro, perché consente di stabilire sia la durata della prestazione, sia la retribuzione dovuta. Inoltre, ponendosi come limite temporale massimo dell’attività lavorativa, ha anche la funzione di tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore.

La prima regolamentazione dell’orario risale all’inizio del secolo. Il Regio Decreto Legge n. 692 del 15 marzo 1923 introdusse infatti precisi limiti alla durata dell’attività lavorativa: 8 ore giornaliere e 48 ore settimanali. Ad abrogare sostanzialmente gli anacronistici limiti previsti dalla legge del 1923 è intervenuta la legge 197/1996, che all’articolo 13 ha fissato l’orario normale di lavoro in 40 ore settimanali e ha introdotto un principio di flessibilità con il cosiddetto “orario articolato” o “multiperiodale”.

Successivamente, per garantire una base omogenea nei diversi Stati membri dell’Unione Europea ed evitare così lo spostamento dei centri produttivi in Stati con un regime di protezione inferiore, la disciplina dell’orario diviene oggetto della legislazione comunitaria.
La prima direttiva in materia è la 93/104/CE, accolta in Italia molto tempo dopo con il Dlgs 66/2003. Il provvedimento è stato poi modificato in occasione del recepimento della direttiva 2000/34 secondo il Dlgs 213/2004 e, da ultimo, con il decreto legge 112/2008, convertito nella legge 133/2008. La legge 133/2008 ha reso ancora più flessibile la disciplina dell’orario di lavoro, anche sulla scorta dei nuovi orientamenti europei, abolendo alcune sanzioni e riducendo gli adempimenti formali.

Il campo di applicazione

La nuova disciplina dell’orario di lavoro contenuta nel Dlgs 66/2003 si applica genericamente a tutti i tipi di contratti lavorativi, compreso il settore pubblico, e agli apprendisti maggiorenni. Sono previste tuttavia alcune eccezioni, che riguardano ad esempio:

La gente di mare
Il personale di volo dell’aviazione civile
I lavoratori mobili
Il personale della scuola
Gli addetti ai servizi di vigilanza privata.

La disciplina non si occupa invece di quelle categorie di lavoratori il cui orario di lavoro, a causa dell’attività lavorativa svolta, non può essere predeterminato:

Dirigenti e personale direttivo
Manodopera familiare
Lavoratori del settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose
Rapporti di lavoro a domicilio e telelavoro

I limiti di legge

L’indicazione generale dell’orario di inizio e di termine del lavoro, della durata degli intervalli e dei riposi del personale deve essere affissa in un luogo stabilito. Se non è possibile esporre l’orario di lavoro, deve essere comunque visibile nel luogo in cui viene corrisposta la retribuzione.
Qualora, invece, l’orario di lavoro non sia comune a tutti i dipendenti, i diversi turni devono essere comunicati direttamente a ciascun reparto e a ciascuna categoria professionale. Per una maggiore trasparenza e chiarezza nei rapporti di lavoro, l’orario individuale deve essere sempre indicato nel contratto al momento dell’assunzione.
Infine, qualsiasi variazione deve essere concordata tra il datore di lavoro e il lavoratore e sancita con la firma di entrambi su un documento ufficiale. La disciplina introdotta dal Dlgs 66/2003 si caratterizza per l’alto grado di flessibilità ed è organizzata secondo il criterio della durata media dell’orario di lavoro. Questo criterio si sostituisce all’imposizione dei limiti (giornalieri e settimanali) da parte della normativa previgente, ispirata all’approccio di una rigida tutela del lavoratore. L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali (legge 197/1996). Tuttavia, i contratti collettivi possono stabilire una durata inferiore e riferire l’orario normale alla durata media dell’attività lavorativa nell’arco di un periodo non superiore all’anno, secondo il cosiddetto orario multiperiodale. L’articolo 4 del Dlgs 66/2003 consente inoltre alla contrattazione di fissare una durata massima dell’orario di lavoro. Essa però non deve superare le 48 ore settimanali, lavoro straordinario compreso, nell’arco di un periodo di 4 mesi. Precisiamo a questo proposito che, se esistono ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, il periodo può essere innalzato fino a 6 o 12 mesi.
Il limite di 40 ore settimanali non riguarda però particolari categorie: i lavoratori agricoli, i commessi viaggiatori, i giornalisti professionisti e le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia. Tuttavia, anche in questi casi deve essere rispettata la durata media settimanale di 48 ore.
Se la soglia delle 48 ore viene superata, il datore di lavoro di unità produttive che occupano più di 10 dipendenti è tenuto a informarne tempestivamente la Direzione Provinciale del Lavoro. Occorre tenere però presente che nel calcolo della media non rientrano i periodi di ferie annue e le assenze per malattia, infortunio e gravidanza. Tutti i restanti periodi di assenza con diritto alla conservazione del posto sono invece compresi nell’arco temporale di riferimento, sia pur con indicazione delle ore pari a zero.
Se si considera l’indicazione di pause e riposi (giornalieri e settimanali) imposti per legge, la durata massima settimanale dell’orario di lavoro non può comunque superare le 77 ore.
Nella nuova legge, dunque, non esiste un limite massimo all’orario di lavoro giornaliero: le 8 ore, più un massimo di 2 ore di straordinario, non sono più un vincolo da rispettare quotidianamente, ma diventano una media riferita a un periodo di 4 mesi. Come determinare allora il limite giornaliero?
Il limite giornaliero, comprensivo di straordinari, si deduce solo indirettamente, interpretando al contrario le disposizioni in materia di pause e riposi giornalieri. Poiché la legge stabilisce che il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24, si ricava che la differenza tra le 24 e le 11 di riposo rappresenta il limite giornaliero dell’orario di lavoro, cioè 13 ore giornaliere, ferme restando le pause.

L’articolazione dell’orario di lavoro

La legge ammette qualsiasi accordo tra le parti, relativo all’organizzazione dell’orario di lavoro, purché siano rispettati i limiti di durata. Il datore di lavoro è dunque libero di concordare con i lavoratori la distribuzione dell’orario di lavoro che meglio risponde alle esigenze concrete delle parti, purché rispetti i limiti fissati dalla legge e dal contratto collettivo. Inoltre, il datore di lavoro può programmare in modo flessibile l’attività dei lavoratori, in modo che l’orario normale di lavoro possa essere superato ogni qual volta vi sia un’intensa attività. Questi picchi saranno poi compensati da periodi a orario ridotto.